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Giornale di adolescenza - Oscar Mondadori 2012
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Il “giornale” comincia nel 1936, con l'ingresso del piccolo Mario Morrone al ginnasio, e arriva fino al 1940, l'anno dell'entrata in guerra dell'Italia. La città è Napoli, una Napoli in pieno fascismo, popolare, come sempre, ma anche, e forse mai più d'allora, piccolo borghese, soffocante, velleitaria, mortificata e grigia, come tutto il Paese.
Eppure, questa città cinerea e addormentata, poco alla volta, nel corso del romanzo, cambia, fino alla memorabile scena di una festa in tempo di guerra che mostra quale esplosività covi sotto quelle ceneri, quali braci di esasperato vitalismo: sono quella furia e quelle febbri che esploderanno con la liberazione e il dopoguerra.
Nel frattempo, in un condominio di piccola borghesia piena di rancori, ansie di riscatto sociale e sogni di gloria, Striano colloca la famiglia di Mario e, pur seguendo con sensibilità attenta a registrare ogni turbamento, ogni fase dell'evoluzione del ragazzo, non perde mai d'occhio il contorno: i genitori, i parenti, i vicini, gli uomini feriti, le donne sognatrici, i giovani ansiosi. Il suo osservare è partecipe ma allo stesso tempo è duro, secco; dove si posa, taglia. Sono occhi giovani ma hanno già lo sguardo minuzioso e amaro del grande romanzo storico, de Il resto di niente . Anche qui ogni figura è ritratta con una precisione che si potrebbe dire fiamminga se non fosse che il disegno è privo di ogni intimismo, non è mai compiacente né mai compiaciuto, non è mai gentile, perché il giovane scrittore (Giornale di adolescenza fu completato nel 1958) si ispira alla lezione del grande realismo europeo: non perdere di vista la foresta per concentrarsi su un solo albero e non trascurare l'albero per descrivere la foresta.
Su questo romanzo vigoroso e corale, che restituisce un tassello importante alla storia della letteratura italiana del secondo Novecento, Striano ritornò con alcune considerazioni profonde e distaccate nel suo antiromanzo Indecenze di Sorcier (1978): «Gli parve di ricordare che poi si descriveva la povera roba portata da Mario e da suo padre nel nuovo alloggio: seggiole di paglia legate con lo spago, pentole, cuscini sfatti. Doveva esserci anche una scena in cui il padre, di fronte all'improvviso straripare di bioccoli di lana dalla sdrucitura di un cuscino, imprecava contro la moglie buona a nulla. Si leggeva altresì che il padre guidava per le scale un facchino che portava su un armadio e Mario notava come il padre cercasse di rendersi importante ai suoi occhi di ragazzo redarguendo aspramente l'uomo di fatica. Ora tutte quelle cose, il rapporto con il Padre, la vita grama di allora, l'eterno aprire gli occhi su un miserabile mondo perpetuamente fascista, persino la guerra, non lo riguardavano più , non lo interessavano più, non gli parevano più importanti, forse anche perché ne aveva fatto un libro, un vero libro, compiuto, destinato a un pubblico, anche se al pubblico non arrivò mai».
Quel libro vero e compiuto che non arriṿ mai al pubblico era Giornale di adolescenza .


 
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